Il Comune di Roma vuole sfrattare il Museo dei Videogiochi: #VIGAMUSNONSISFRATTA

È una vergogna. Finisce sotto sfratto – e dal Comune di Roma – Vigamus, il Museo dei Videogiochi (e molto altro) della Capitale, divenuto nell’arco di pochi anni punto di riferimento delle (sotto)culture giovanili romane, che in quei locali hanno trovato luogo di incontro, di sfogo, di espressione. Una realtà vivace da 80mila visitatori l’anno, tra i pochi musei del genere al mondo, gemellata con l’omonimo museo di Berlino. Tutto destinato a finire, forse. A chiudere, ad essere cancellato con un colpo di spugna. E questa cosa non può passare nel silenzio: è una questione non di principio ma di merito, di diritto di espressione.

Negli anni Ottanta la battaglia contro i videogiochi si combatteva sui giornali, dove i soloni dal dito puntato si ergevano a moralizzatori dei costumi, scorgendo proprio in quel mondo virtuale (il primo – o quasi – noto al grande pubblico) il declino dei costumi e un rischio per il benessere psicofisico dei propri figli. Il tempo ha dimostrato che avevano torto, come chi prima di loro (probabilmente gli stessi) aveva tuonato contro i cartoni animati, “violenti e ispiratori d’odio”.

Insomma, di tutti i problemi che la generazione dei Millennials ha, di certo nessuno è attribuibile ai videogiochi, eppure qualcuno sembra ancora oggi essere rimasto fermo a quel passato ridicolo e conduce le sue battaglie solitarie contro i videogiochi.

Il lettore si interrogherà: chi è questo qualcuno? Un palazzinaro senza scrupoli? Una vecchia ereditiera che ha bisogno di quello spazio per i suoi barboncini? Sarebbe stato forse più rincuorante, sarebbe finito nell’archivio delle tante pagine simili, già lette decine di volte.

Ma il genio italico è riuscito a superarsi stavolta, a fare di meglio: a mettere sotto scacco questo museo dedicato ai giovani e agli appassionati delle culture alternative è stavolta il Comune di Roma.

Riavvolgiamo il nastro. Succede infatti che qualche anno fa la giunta Alemanno –  tra una tempesta di neve (e non solo) e altro – riesce incredibilmente a destinare uno spazio ad un gruppo di ragazzi con un’idea in tasca: costituire a Roma un museo dei videogiochi sulla scorta di altri pochi ma fortunati esempi europei e mondiali. Attenzione, non stiamo parlando di una sala per smanettoni nerd, di quelle con cento computer in rete e l’odore di ormone adolescenziale che impregna – acre – l’aria, rendendola irrespirabile a chiunque abbia superato indenne la maggiore età. No, bando a magliette degli Iron Maden nere, ai capelli lunghi e alla forfora sulle spalle, immagini stereotipate del genere: qui si tratta di un progetto serio e maturo, in cui conoscere la storia del videogioco e quello che c’è dietro, fino a lasciarsi travolgere dai ricordi, dalle suggestioni, dagli stimoli.

Se imperi economici si sono costruiti sulla fortuna delle consolle e degli idraulici di origine italiana in lotta contro tartarughe e mostri vari, un motivo forse ci sarà. Se tanti italiani hanno fatto fortuna programmando videogiochi in giro per il mondo, idem. Insomma, qualcuno al Comune sembrava averci visto giusto, essersene accorto, fino a decidere di dare il giusto riconoscimento a questa forma culturale, intesa nella sua accezione più alta e all’universo storico-economico che c’è alle spalle.

È così che è nato Vigamus: partito in sordina, con pochi mezzi, cresciuto con il passaparola, con una “rete” di relazioni intrecciate con le altre associazioni culturali della Capitale che si occupano del “sottomondo”, quasi un lato B dell’audiovisivo e della carta stampata: l’Animazione, il Fumetto, il Cosplay, il gioco di ruolo ai massimi livelli.

Per queste associazioni silenti, ma che impegnano migliaia di soci volontari, Vigamus è stato un punto di riferimento, un luogo in cui essere ospitate, poter organizzare eventi, incontri, convegni. Un luogo in cui confrontarsi, crescere. Da un punto di vista culturale e – quindi – anche economico. Perché la cultura – e anche questa lo è, sarebbe cieco non vederlo – può contribuire alla crescita dell’economia, a mettere in circolo idee che potranno trasformarsi in startup, in qualcosa di grande.

Ecco, ora arriva la notizia che il Comune mette sotto sfratto Vigamus, perché in quei locali – che, attenzione, sono stanze di un seminterrato – ha intenzione di aprire una biblioteca. Nulla da eccepire sulla necessità di aprire presidi culturali, ma la questione è un’altra: davvero in un quartiere in cui gli stabili dismessi dai militari sono decine e con cubature immense, c’è bisogno di recuperare poche centinaia di metri quadrati da un punto di riferimento dei giovani romani? Davvero non c’è possibilità di trovare una soluzione alternativa? Oppure quegli stabili, palazzi giganteschi e deserti, del Comune devono fare altra fine, magari essere venduti a qualche cordata di palazzinari?

Questo è un appello pubblico: #VIGAMUSNONSISFRATTA è l’hashtag di riferimento. Facciamolo girare.

Simone Toscano

(Twitter @SimoneToscano, Facebook, Instagram @ungiornalistanellarete)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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