Simone e la sua #forzaecoraggio

“Se la febbre non passa, mercoledì mi ricovereranno. Sbatterei la testa al muro ma cosa cambierebbe? E allora accettiamo il più possibile quello che la vita ci propone. Un abbraccio a tutti di vero cuore”.

Simone si chiama come me. Ha passato la trentina, ma non da troppo (credo), come me. Simone aveva tanti capelli ricci. Simone ora ne ha qualcuno in meno, ma ricresceranno. Simone sorride. Simone è forte come io non saprei esserlo mai. Perché Simone ha un linfoma, che io fortunatamente non ho, e lo affronta aprendosi al mondo, raccontandolo senza eroismi e senza pietismi. Anche da una stanza di ospedale, anche dalla chemioterapia.

Simone ha aggiunto una parola tra il suo nome e il suo cognome, su Facebook. Quella parola è quasi uno slogan, un hashtag, come quelli che si usano soprattutto su Twitter, come quelli che utilizza Matteo Renzi per comunicare la svolta buona. Simone ora è “Forzaecoraggio”.

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“Il linfoma si è riacceso.Inizierò una nuova tipologia di chemioterapia nei prossimi giorni. La strada diventa un po’ più difficile ma come sapete io non mollerò mai. Ci proverò sempre e comunque. Vi chiedo solo di avere pazienza se non rispondo subito a telefonate, sms, e Whatsapp. In ospedale è più complicato. Vi abbraccio forte ‪#‎Forzaecoraggio .

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Anno 2015: l’estate del #ciaone

A certe cose bisogna rassegnarsi: in Cina esistono l’anno del serpente, quello del maiale, quello del dragone e così via. In Italia invece,altro che animali, il 2015 è stato l’anno del #ciaone. Inutile negarlo, impossibile non vederlo, la sua diffusione si è estesa a macchia d’olio ed è stato (ab)usato in qualunque modo, sfoggiato, adattato e piegato ad ogni situazione.keep-calm-and-ciaone

Più di una canzone di Alexia negli anni Novanta, più del “dammi tre parole, sole cuore amore” di Valeria Rossi, il tormentone di questa estate non ha neppure la musica di sottofondo e non è composto da tre parole, ma da sei lettere magiche (mah): c-i-a-o-n-e. Insomma, “ciaone is the new black”.

 

Ci ho provato più di una volta, sbracato al sole senza altri pensieri seri, a trovare una spiegazione logica sul perché un semplice saluto che finora, in fondo in fondo, mi era stato sempre simpatico – il caro e vecchio “ciao” – sia stato ingigantito fino ad assumere le sembianze di un gggiovane e figo “ciaone”. Risultato: zero, vuoto totale. E allora la mente è volata ad altri esempi simili che hanno invaso i social network negli ultimi anni.

In principio furono le ragazze che si autoimmortalavano con la boccucca stretta stretta, solitamente davanti allo specchio del bagno (testimone silente della scena, il wc alle loro spalle). Poi arrivò la foto di gambe e piedi sulla spiaggia, primo tormentone iconografico di Facebook, sbeffeggiato da quel genio che pubblicò l’immagine di due wursteloni spacciandoli per gambe abbronzate (ricordate?). Poi ancora fu la volta (l’ho usata anche io, lo ammetto, con soddisfazione) della battuta “no ma… falle due gocce!” ad ogni temporale oppure del “no ma… magnatela ‘na cosetta” espressione virtual romanesca adottata presto nel resto d’Italia di fronte ad una tavola imbandita.

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