Cinquemiladuecentodiciannove giorni senza colpevole. Poco più di quattordici anni da quel 3 giugno del 2001 in cui Serena Mollicone venne ritrovata senza vita in un bosco vicino ad Arce, il paese in provincia di Frosinone in cui viveva con la sorella Consuelo e con il papà Guglielmo.
Il suo assassino non ha ancora un volto, eppure le indagini sembrano essere purtroppo destinate a finire, dopo che la Procura di Cassino ha chiesto di archiviare l’inchiesta su questo giallo dalle tinte rosse come il sangue. Un mistero che non fa chiudere occhio a chi purtroppo non ne ha semplicemente sentito parlare in tv, ma ne ha vissuto sulla pelle i momenti più bui, le speranze ad ogni svolta annunciata e poi le delusioni, i dolori. Le sofferenze, incominciate d’improvviso in quegli inizi dell’estate del 2001 e non ancora sopite, graffianti come i dubbi di questa vicenda.
Serena scompare venerdì primo giugno di quell’anno: ha un appuntamento con Michele, il fidanzato, alle due del pomeriggio. Ma non si presenta. Dopo 48 ore viene ritrovata senza vita: un’unica ferita alla tempia sinistra, un sacchetto attorno la testa. Il colpo – dirà l’autopsia – non è stato letale: Serena – morta per asfissia – poteva salvarsi.
Nel mirino degli inquirenti finiscono inizialmente le persone a lei più vicine, persino il padre, che viene prelevato forzatamente durante il funerale della figlia, sotto gli obiettivi delle telecamere, come fosse un mostro, un assassino freddo da punire togliendogli l’ultimo saluto a Serena.
Ma Guglielmo ha una vita trasparente, specchiata. E ogni ombra, anche quelle disegnate da chi forse vuole distogliere l’attenzione dal vero colpevole, viene spazzata via.
Passano due anni di silenzi, di segnalazioni andate a vuoto, di false piste. Fino al 6 febbraio del 2003, quando la polizia arresta Carmine Belli, un carrozziere di Arce. Secondo la Procura, avrebbe ucciso Serena perché lei rifiutava le sue avances. Al terzo grado di giudizio, però, l’uomo viene assolto. Il rebus ricomincia: chi ha ucciso Serena?
A rendere più misteriosa la vicenda, L’11 aprile del 2008, arriva il suicidio del brigadiere Santino Tuzi, che il venerdì in cui Serena è sparita era in servizio nella caserma di Arce. Secondo la famiglia Mollicone, Tuzi avrebbe detto agli inquirenti di aver visto la ragazza proprio in caserma, nel giorno della sua scomparsa. Possibile?
Ancora silenzi, ancora nottate insonni per Guglielmo e gli amici di Serena. Fino al giugno del 2011. Dieci anni sono passati quando giunge un nuovo colpo di scena: sei persone vengono iscritte nel registro degli indagati. Sono Marco Mottola, amico di Serena e figlio dell’allora maresciallo dei carabinieri di Arce, Franco, anch’egli indagato, come pure la moglie e un altro carabiniere in servizio il giorno della scomparsa di Serena, Francesco Suprano. Indagati – a sorpresa- anche l’ex fidanzato della ragazza, Michele Fioretti. E la madre, Rosina Partigianoni. Sei persone senza legami tra loro.
Pochi mesi dopo, come se tutto fosse finalmente sulla giusta direzione, quella della Giustizia, gli inquirenti annunciano di aver isolato “due profili di dna – sangue e sudore – lasciati sul pantalone e sul maglioncino di Serena Mollicone”. L’assassino potrebbe aver lasciato la sua firma.
Gli indagati vengono quindi chiamati al prelievo del dna. Il 30 agosto dello stesso anno arrivano i risultati: nessuna corrispondenza tra i profili genetici dei sei e quelli isolati dal perito sul corpo di Serena.
Tutto da rifare dunque? L’assassino può tirare un sospiro di sollievo? La risposta sembra essere negativa almeno fino al 2013, quando la Procura, in una mossa disperata, richiede il prelievo del Dna di altre 177 persone tra amici, parenti e conoscenti della ragazza, nel tentativo di arrivare all’assassino. Un ultimo buco nell’acqua.
Ultimo, perché dopo anni di prove, di omertà, di strade interrotte davanti al muro del silenzio, la Procura ha deciso di archiviare tutto. Non solo la posizione degli indagati, risultati del tutto estranei alla vicenda. Ma anche il fascicolo contro ignoti. Una bandiera bianca alzata dopo quattordicianni, a segnare la resa della Giustizia.
Forse nulla cambierebbe, è vero, se il fascicolo rimanesse aperto, senza avere però una pista seria e plausibile tra le mani. Potrebbe essere un paliativo per i familiari, dirà qualcuno. Forse sì, forse no.
Di sicuro, chiuse o aperte le indagini, quello che c’è da augurarsi è che la vicenda di Serena non cada nel dimenticatoio. Che le nuove tecniche scientifiche in continua evoluzione possano portare – se non ora almeno, tra qualche anno – ad analisi risolutive sui campioni in possesso degli inquirenti, così come accaduto con il delitto dell’Olgiata, risolto grazie ai Ris di Roma quando nessuno ci avrebbe più puntato un centesimo.
Non dimenticare Serena non è uno slogan, ora. E’ un dovere, soprattutto del tessuto sociale in cui questa ragazza – una adolescente normale, e per questo potenzialmente nostra amica, nostra sorella, nostra figlia – è cresciuta e ha vissuto: Arce, un paese di provincia come mille altri in Italia.
E’ da Arce che tutto deve ripartire ed è lì che probabilmente si nasconde ancora oggi l’assassino di Serena.
Lunedì prossimo, 21 settembre, tutto il paese scenderà in piazza per protestare contro la chiusura delle indagini, ma soprattutto per lanciare un segnale forte: la “sua” gente non dimentica Serena Mollicone.