Serena Mollicone: anniversario con speranza

Quindici anni esatti di indagini, di segreti, di sospetti. Quindici anni di speranze e di attesa per Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, ritrovata senza vita e con il volto coperto da un sacchetto di plastica il 3 giugno del 2001 in un bosco a pochi chilometri da Arce, il paesino vicino Cassino in cui viveva e da cui era scomparsa due giorni prima.

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È proprio a Cassino che bisogna andare con la mente, in questo anniversario simbolicamente carico di significati, perché è lì che la Procura sta continuando a lavorare, rimettendo di nuovo in discussione quella che era divenuta una certezza per molti, tranne che per la famiglia di Serena, dal padre Guglielmo allo zio Romeo, alla cugina Gaia: e cioè che non ci fosse nulla da fare, che non esistesse più nessuna pista da seguire.

E invece no. Non sappiamo quale destino seguiranno le nuove indagini, ma per la prima volta abbiamo assistito all’ingresso del Ris nella caserma di Arce, il luogo indicato fin dall’inizio dal padre di Serena come quello in cui “qualcosa” era di sicuro successo. Qualcosa di brutto, qualcosa di indicibile.

Ed è lì che Serena è stata vista l’ultima volta: mentre entrava in caserma. Lo aveva raccontato anche Santino Tuzi, un brigadiere che in quelle ore era in servizio e che poi sarebbe stato trovato misteriosamente senza vita, anche lui, il giorno prima di essere ascoltato come testimone dagli inquirenti che lo avevano chiamato a confermare ufficialmente quel primo sconvolgente racconto.

Due le morti sospette dunque, in questa vicenda. E anche nel caso di Santino, la Procura di Cassino ha voluto con forza segnare un cambio di passo netto con il passato, riaprendo finalmente le indagini e iniziando ad accogliere quanto gridato fin dal primo giorno dall’unica figlia del brigadiere, Maria Tuzi.

“Lo hanno suicidato” ha sempre sostenuto Maria, ed ecco che finalmente qualcuno crede a lei e al suo legale, Rosangela Coluzzi, dopo anni di porte sbattute in faccia. Ora si segue la pista di una istigazione al suicidio che – chissà – potrebbe nuovamente trasformarsi in altra ipotesi di reato ed essere considerata omicidio, visti i tanti punti che non tornano nella ricostruzione dei fatti.

Sono storie che si intrecciano, quella di Santino e di Serena, storie che hanno ben più dei due protagonisti loro malgrado: ne hanno decine, come i familiari e gli amici che si sono battuti e si stanno continuando a battere in questi anni per arrivare ad avere giustizia. Come gli inquirenti – da ultimo Luciano D’Emmanuele, il Procuratore capo di Cassino che ha ripreso in mano le indagini – che hanno deciso di arrivare in fondo a questo tunnel. Come quei pochi giornalisti – penso alla collega Angela Nicoletti della Provincia quotidiano ad esempio – da sempre in prima linea per non fare abbassare le luci su questa vicenda.

Luci che pure tutti vorrebbero, prima o poi, riuscire a spegnere. Per rimanere dopo quindici anni al buio, in silenzio a riflettere, con tanti pensieri o ricordi nel cuore e nella mente sì, ma con in mano finalmente un nome. Quello del colpevole, un volto da fissare intensamente e a cui fare con uno sguardo, fosse anche uno solo, la domanda più semplice ma dilaniante, la stessa che avrebbero voluto fare Serena e Santino: “perché?”.

Simone Toscano

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