Capita a volte, al giornalista di cronaca, di imbattersi in storie che palpitano di vita, che riempiono pensieri e categorie emozionali lasciate vuote o rese aride dal mestiere sul campo, taccuino o microfono in mano, sempre in viaggio.
Capita di incontrarle d’improvviso queste storie, e di non avere il “giusto” spazio in cui raccontarle: il giusto giornale, la giusta trasmissione, il giusto momento, il giusto sentimento.
E allora finiscono in un cassetto, in attesa di essere messe per iscritto. Condivise. Perché una storia più la racconti e più vive, forse.
La “rete” permette ora di superare questi limiti e fornisce al giornalista un prolungamento crossmediatico per raccontare gli sguardi in cui si imbatte quotidianamente. Ed ecco che nasce, così, semplicemente, “ungiornalistanellarete”, questo mio spazio su Tgcom24.
Quella con cui lo voglio inaugurare è la “storia” che forse conosco meglio, quella di una ragazza che per me è un esempio quotidiano, così normale e a tratti “superficiale” in apparenza – persa tra i mille selfie scattati con il suo smartphone -, quanto forte e tenace nel suo difficile cammino di vita. Perché i giudizi affrettati sono sempre sbagliati.
Quella ragazza si chiama Patrizia, anche se – fanatica come è – da alcuni preferisce farsi chiamare con il secondo dei tre nomi che porta, decisamente più esotico: Malena.
Ed esotica Patrizia Malena è, in effetti: peruviana, 33 anni, la pelle dorata che d’estate imbrunisce, lei vive, ride, scherza e balla come e più di ogni altra ragazza che io abbia mai conosciuto. Nonostante tutto.
Patrizia infatti non ha più un polmone, da sette anni, e quello che rimane lavora al settanta per cento.
Patrizia ha un pericardio di polistirolo, fatto per durare cinque anni perché chi ha superato un tumore come il suo – di solito (ma non c’è una regola) – ne vive pochi di più e solo se riesce a correre più veloce della morte.
Patrizia ha perso una bambina, quella che portava in grembo, perché il cancro gliel’ha tolta, di notte, quando nessuno poteva vedere il suo dolore o ascoltare le sue lacrime scendere dagli occhi.
Il cancro l’ha tolta proprio a lei. A Patrizia, che aveva deciso di rifiutare le cure, per mesi, pur di salvarla, perché sapeva che la chemioterapia l’avrebbe uccisa. E allora aveva scelto, “se una delle due deve salvarsi, meglio lei”.
Patrizia era “sola” in ospedale, senza avere accanto il padre di quella bambina. Fuggito via, senza neppure sapere che, se fosse nata, si sarebbe chiamata Sara.
Patrizia era la stessa ragazza che al liceo – in classe con me, anni prima – rideva e scherzava, scriveva sul diario le parole del suo cantante preferito. Stupida a volte, immatura, capricciosa. Una ragazza viziata che beveva Coca Cola alle otto del mattino, mangiava solo fast food e il sabato sera prendeva il taxi per andare in discoteca a ballare.
La stessa. Eppure così forte, ora, a distanza di anni.
Patrizia ha partorito, piangendo, una bambina senza vita. Patrizia è stata data per spacciata, “un mese di vita” e messa, letteralmente, in un angolo, nell’ultima stanza del corridoio.
Patrizia ha trovato una dottoressa che aveva sentito parlare della sua storia e le ha proposto una terapia d’urto, “tanto ora non hai nulla da perdere”. L’urto più dolorosamente bello che possa capitare.
Patrizia ha affrontato quella nuova terapia, quella nuova chemio, così forte che a pensarci piangi.
Patrizia è stata male.
Patrizia è uscita tutte le sere mentre i medici le dicevano di non farlo. A costo di farsi portare a spalla, pur di vedere i suoi amici ballare.
Patrizia ha accompagnato la nonna ottantenne – arrivata con il suo primo viaggio in aereo per stare vicino alla nipote morente – in giro per il nostro Paese, l’Italia, di cui solo ora sta per diventare cittadina.
Patrizia poi ha preso un volo, anche lei, ed è andata in Perù. In volo è stata male, ma è arrivata viva.
Patrizia ha rivisto l’Oceano. Poi è tornata. Ha continuato la terapia. E’ stata ancora male.
Patrizia, poi, si è salvata.
Patrizia ha un solo polmone ora, ha l’udito di una settantenne e il cuore che è sceso in basso, giù, ed è quasi all’altezza della milza.
Patrizia è la persona più viva che io conosca e “a vederla non si direbbe mai che ha passato quelle cose…!”. È lei a consolare gli altri quando “stanno male”, è lei ad organizzare cene e serate, è lei che dopo essere tornata a casa alle tre di notte esce nuovamente per prendere a morsi la vita e raggiungere gli altri amici ancora in giro.
Patrizia è la più fanatica ragazza che io conosca e riempie il suo Facebook (https://www.facebook.com/?q=#/aguirre.malena?ref=ts&fref=ts) di foto che profumano di vita e di allegria.
Patrizia ha forse un solo “difetto”: non ha il dono dell’ubiquità, non riesce ad essere ovunque, per portare il suo sorriso e la sua storia davanti a chi, come me, a volte pensa che le cose vadano male solo perché una nuvola copre il sole nel cielo.
E’ un difetto che non le perdono, perché vorrei che lei riuscisse a mostrare al mondo tutto cosa vuol dire davvero godere di ogni attimo di vita, finché c’è e ci sarà. Poco importa come, se con poco udito o senza fiato. Perché Patrizia è così.
Se questa storia ti è piaciuta, se vuoi farla conoscere, se vuoi dare speranza a chi vede solo buio fuori dalla finestra, condividila. Falla girare, questa storia. E fai girare Patrizia. Perché se anche tu la conoscessi di persona, come è capitato a me, sapresti che per lei ogni giravolta è un ballo. E il ballo per Patrizia è vita. Una vita che vorrebbe non finisse mai. Ed è quello che vorrei anche io, per lei, perché è lei che mi ha insegnato a vivere.
Ecco perché l’hashtag di oggi, su Twitter, su Facebook, è proprio questo, per me: #Patriziasplendequandoballa
#patriziasplendequandoballa #tgcom #ungiornalistanellarete
@simonetoscano