Sono passati due anni dalla morte del piccolo Lorys Stival, che di anni ne aveva appena otto, interrotti di colpo la mattina del 29 novembre 2014. Dopo un tortuoso cammino processuale si è arrivati finalmente ad una prima verità, una sentenza di colpevolezza pesante come un macigno: trent’anni di carcere e il marchio infamante di madre assassina per Veronica Panarello.
È questo quindi, più che mai, il momento dei “fatti”, da riportare senza interpretazioni personali da “fan” di una o dell’altra teoria. Fatti nudi e crudi, basati solo su quanto letto e trovato nei documenti, come recita il “mantra” che vige nella redazione di Quarto Grado.
I fatti che esporrò – raggruppati per macro argomenti come fosse una sorta di piccolo vademecum a cui affidarsi – faranno riferimento solo ed esclusivamente a dati che ho letto in prima persona e ho raccolto dopo aver studiato assieme ai colleghi migliaia di pagine, intervistato centinaia di persone.
In pochi hanno letto tutto il materiale probatorio. In troppi si trasformano in detective senza averne né il ruolo né gli strumenti necessari per sostenere alcune teorie, spacciando spesso proprie supposizioni per verità inconfutabili.
Credo insomma ci sia bisogno di fare chiarezza: fin dai primi giorni ho seguito questa triste vicenda per Quarto Grado e posso dire con certezza che mai come in questo caso ho assistito a cumuli di bugie, menzogne alimentate da alcuni media (soprattutto blog che nulla hanno di giornalistico) e rilanciate con il chiacchiericcio di facebook fino quasi a farsi verità. Mai ho visto – tranne forse con la vicenda Bossetti – orde di innocentisti e colpevolisti fronteggiarsi in accuse reciproche e cattiverie, attacchi frontali che non lasciano a terra la verità ma solo vite rovinate.
I fatti, dicevamo. Andiamoli ad analizzare per argomenti:
IL RITROVAMENTO E IL CACCIATORE- Un fatto certo è il ritrovamento di Andrea Lorys Stival, un bambino innocente di otto anni, nel fondo di un canale ricoperto di cemento poco fuori il centro di Santa Croce Camerina (Ragusa), nel pomeriggio di sabato 29 novembre 2014.
Molto si è scritto su questo ritrovamento ed in particolare sulla figura del cosiddetto “cacciatore” Orazio Fidone. In tanti hanno ipotizzato un suo coinvolgimento attivo nella vicenda e se ne sono convinti nel momento della sua iscrizione nel registro degli indagati (il classico “atto dovuto”), per una sorta di assioma giustizialista “ha trovato il corpo = è coinvolto nell’omicidio”.
A chiunque sarebbe (ed è) venuto più di un dubbio, ma oggi, con il giusto distacco e carte alla mano, possiamo dire che non è così: quell’assioma non trova alcun riscontro oggettivo.
Torniamo per un attimo a quel giorno: Orazio è un pensionato con l’hobby della caccia che dopo essersi alzato di buon ora passa la prima parte della mattinata in casa – come testimoniano familiari e tabulati – e poi va al mercato di Vittoria assieme alla moglie, insegnante. Anche in questo caso a provarlo sono i suoi tabulati telefonici e numerosi altri testimoni.
Dunque Orazio è a molti chilometri di distanza dal luogo del delitto. Tornato in paese viene a conoscenza della scomparsa del piccolo Lorys che – è bene sottolinearlo – contrariamente a quanto detto da fonti poco informate non ha mai conosciuto di persona, come neppure conosce la madre del bimbo, Veronica, prima del 29 novembre (la incontrerà dopo, quando andrà a porgerle le condoglianze, accompagnato dal medico di famiglia).
L’unico con cui ha una seppur minima conoscenza prima di questa vicenda è Andrea Stival, idraulico che per lui ha fatto un lavoretto in casa. Alcuni siti hanno sostenuto che in quella occasione Andrea avesse portato con sé il nipotino: è un falso, almeno stando ai documenti. Entrambi i diretti interessati smentiscono e non c’è prova di tale contatto.
Ma torniamo al 29 novembre. Quel pomeriggio Orazio esce di casa come altre centinaia di compaesani e dopo pochi minuti e alcuni giri in auto (documentati da telecamere e gps), arrivato al “canalone” – vicino ad una zona di caccia ben conosciuta – trova per una strana casualità il piccolino.
Qualcuno ha sostenuto che abbia tentato di chiamare aiuto solo dopo aver visto arrivare le forze dell’ordine, quasi a voler mettere le mani avanti. Ma dal luogo in cui si trovava – può dirlo solo chi è stato lì – era impossibile vedere auto o lampeggianti arrivare.
Orazio è dunque in combutta con chi ha ucciso Lorys? È stato avvertito da qualcuno? Ad un livello epidermico tutti si sono ovviamente posti questa domanda, ma da un punto di vista oggettivo e probatorio tutto depone nella direzione opposta: non c’è traccia alcuna di contatto con la famiglia Panarello-Stival in quella giornata. Come sarebbe stato avvertito Orazio? Rimane quindi sulla carta la sola opzione “casualità”.
“Incredibile”, dirà infatti qualcuno. E dice persino lo stesso interessato. Ma anche gli inquirenti sono stati dello stesso avviso dopo perquisizioni, esami del dna, raccolte di prove scientifiche, intercettazioni e analisi di tabulati durate mesi. Fino all’archiviazione della posizione di Orazio Fidone che dunque è totalmente fuori questa vicenda.
LE PRESUNTE VIOLENZE SESSUALI – Un’altra bufala che è circolata nella prima fase, purtroppo rilanciata da tre quotidiani nazionali, è stata quella della “violenza sessuale” sul bimbo. Qualcuno tra gli addetti ai lavori, nei giorni più “caldi” di questa vicenda, deve aver evidentemente parlato con alcuni giornalisti di una propria personalissima ipotesi, rilanciata invece dai media come dato certo, senza che nessuno l’abbia smentito (noi di Quarto Grado sì, in effetti).
Di sicuro mai la Procura ha sostenuto tale tesi. Né lo hanno fatto l’autopsia o la perizia medico legale affidata al dottor Giuseppe Iuvara. Che è stato chiaro: al piccolo Lorys per fortuna è stato risparmiato tale supplizio.
Tutto questo non ha evitato invece che – nel momento in cui è stato tirato in ballo dalla nuora come “amante e autore dell’omicidio” – su Andrea Stival si addensassero anche ombre oscure e sospetti di pedofilia nei confronti del nipote (rilanciati persino da un noto criminologo che non aveva chiaramente letto alcun atto processuale). Sospetti che si basano dunque su una menzogna, come ho avuto personalmente modo di verificare, leggendo purtroppo tutti i documenti medico legali. Purtroppo sì, perché alcuni passaggi sono davvero strazianti, come quelli in cui si parla di una agonia del bambino, di alcuni minuti in cui la madre – che sia lei colpevole in prima persona o comunque presente al momento dello strangolamento – avrebbe potuto salvarlo. Ma non lo ha fatto.
L’ARMA DEL DELITTO – è questo uno dei più aspri campi di battaglia tra accusa e difesa. Secondo tutte le perizie scientifiche di cui si è avvalsa la Procura, l’arma del delitto sarebbe una fascetta di plastica di quelle “da elettricista”. Un dato interessante da analizzare è il fatto che questa ipotesi sia stata avanzata dal dottor Iuvara ben prima (e lei non poteva saperlo) che Veronica Panarello consegnasse agli inquirenti una mazzetta di fascette di plastica, dicendo che erano servite a Lorys e che erano state richieste dalle maestre. Maestre che hanno smentito tale circostanza.
Nella sua ultima versione, in cui incolpa della fase omicidiaria il suocero, Veronica sostiene che l’arma del delitto sia stato un cavo USB grigio a tre vie. Ne fa una descrizione minuziosa dicendo che si trovava in casa. Di opinione differente il marito che, sentito, ha sostenuto che non ci fosse alcun cavo di quel tipo nell’appartamento di via Garibaldi.
Per i periti della difesa, anche il cavo USB sarebbe compatibile con le ecchimosi presenti sul collo di Lorys.
GLI AMANTI – Fin dai primi giorni ai giornalisti che si trovavano a Santa Croce Camerina sono arrivate numerose voci riguardanti presunti amanti di Veronica Panarello. In piazza, in paese, tutti erano pronti a giurare che “quella” aveva più volte tradito il marito.
Nessuno, ad oggi, è riuscito a portare una sola prova riguardo queste numerose relazioni extraconiugali, neppure a quelle presunte tali citate dalla stessa Panarello, come ad esempio quella con un ex compagno della cognata: rimane ad oggi non verificata, così come mai hanno trovato un riscontro le (almeno) due violenze sessuali di cui aveva parlato in passato, per poi ritornare sui suoi passi subito dopo.
Di sicuro uno scivolone di cui si sono occupati anche alcuni giornali è stato quello di Antonella Stival, zia acquisita di Veronica, che scrisse sulla propria bacheca Facebook una riga enigmatica che recitava “pensiero inFausto”, facendo aleggiare sospetti sul genero di Orazio Fidone, Fausto.
Il quale venne preso d’assalto da telecamere e microfoni e sentito dagli inquirenti. Risultato: oltre ogni ragionevole dubbio Fausto non solo non era amante di Veronica ma non l’aveva neppure mai conosciuta. Una pioggia di fango gratuita su una persona onesta e rispettabile.
Discorso simile – racconti infondati – per altri nomi di presunti amanti via via emersi nel chiacchiericcio di paese, compreso lo stesso Orazio (dato che – come detto in precedenza – non ha il minimo fondamento).
ANDREA STIVAL – Un capitolo a parte merita invece il suocero di Veronica, Andrea Stival. Anche il suo nome – complice l’essere un “nonno giovane”– era circolato sin da subito. Una vicina, trasferitasi da poco nel palazzo, raccontò perfino di averlo scambiato per il marito della donna, perché lo aveva visto in compagnia del resto della famiglia anche quando Davide era fuori per lavoro. Una circostanza mai smentita dal diretto interessato che anzi ha confermato la sua presenza in quella casa per visitare i nipotini, il figlio e la nuora.
Come sappiamo Andrea è il grande accusato da Veronica ora: “eravamo amanti e lui ha ucciso Lorys” dice la donna.
I FILMATI DI VANITY HOUSE – è il 4 dicembre 2015 quando a Quarto Grado diffondiamo per primi una notizia importante che avrà grande risalto mediatico: abbiamo infatti scoperto – e verificato minuziosamente con tutte le parti in causa – che la mattina del delitto il nonno di Lorys, Andrea Stival, assieme alla compagna si reca nel negozio Vanity House che si trova esattamente di fronte l’abitazione di Lorys. Entrambi però, dimenticano di segnalare agli investigatori quel passaggio.
Ovviamente la notizia fa discutere: si tratta di umana dimenticanza o di omissione voluta? Su questo le carte non potranno mai dare una risposta. Di certo all’indomani della nostra trasmissione, il sabato mattina, entrambi vengono ascoltati in Procura. Diranno quello che avevano detto anche a me prima della messa in onda di Quarto Grado, quando – per correttezza giornalistica – li avevo informati che avrei diffuso questa scoperta e avevo chiesto la loro posizione per poterla riportare in diretta. In sintesi, entrambi sostengono che la prima volta che erano stati ascoltati dagli inquirenti era stato nel pieno della notte tra il 29 e il 30 novembre, dopo una giornata carica di emozione e di dolore. In quei momenti – dicono – hanno dimenticato di riportare non solo il passaggio al Vanity House, ma anche quello in farmacia e in un altro paio di negozi.
Danno la propria versione anche per quanto riportato dal proprietario del negozio, che aveva affermato di aver visto entrambi nervosi e la compagna di Andrea “stare male, tanto che le ho offerto un bicchiere d’acqua”. Secondo la donna si tratta di una circostanza in parte vera e da spiegarsi con una concomitanza di motivi: il primo è l’aver ricevuto quella stessa mattina a partire dalle sette una serie di telefonate in cui si annunciavano problemi di salute molto seri per un familiare (circostanza effettivamente verificatasi e comprovata). Il secondo è invece dovuto ad altri, personalissimi, problemi di salute che causerebbero a volte annebbiamenti della vista. Di lì la necessità di cercare un appoggio momentaneo e uno sbandamento.
In una intervista a Quarto Grado, la donna ha chiarito anche la sua versione a proposito del “pigiama”. Secondo l’accusa quella mattina sarebbe uscita in pigiama (come da lei stessa definita la felpa di pile che indossava quella mattina e mostrata alle nostre telecamere) e quindi questo proverebbe una certa fretta nell’uscire, forse da mettere in correlazione con l’omicidio del bambino. Secondo la donna quella felpa non era la stessa che indossava quella notte, ma una felpa che a volte usa come pigiama: di qui dunque il motivo per cui avrebbe detto “sono uscita con il pigiama”, come a dire “con la felpa che utilizzo come pigiama a volte”.
IL MOVENTE – Il grande assente nella ricostruzione del racconto è sempre stato lui, il movente. Lo ha giustamente sottolineato soprattutto nella prima fase delle indagini anche l’avvocato Franco Villardita, legale di Veronica Panarello e punto fermo per la donna in questi due anni.
Per la Procura – fino al momento delle accuse di lei ad Andrea Stival – la causa dell’omicidio era da ricercare, sostanzialmente, nella scomoda presenza di Lorys quella mattina in casa dopo che non era voluto andare a scuola. Veronica voleva andare al corso del Bimby e il figlio stava rovinando il suo progetto: un litigio furibondo tra i due e di lì l’omicidio. Un movente da tutti ritenuto plausibile ma “debole”.
A sparigliare è stata proprio Veronica, fornendo per la prima volta un argomento forte: Lorys sarebbe morto perché scomodo testimone di una relazione proibita tra lei e il suocero.
Il pm Marco Rota nella sua lunga requisitoria ha chiaramente detto che non ci sono prove per dimostrare una relazione tra i due, ma che sicuramente Veronica in questo modo ha fornito un movente in grado di spiegare tutto. Il Procuratore capo, Carmelo Petralia, ha parlato con i giornalisti di un “movente plausibile, anche se a noi non è necessario trovarne uno ma provare la colpevolezza o meno di un imputato”. C’è da supporre che per sgomberare il campo da ogni dubbio si stiano ancora dirigendo in questa direzione le indagini del fascicolo a carico di Andrea Stival, ancora non archiviato: evidentemente la Procura vuole arrivare ad avere un punto certo e incontrovertibile sulla presunta (e finora mai provata) relazione tra suocero e nuora, sia in un senso che nell’altro, per poter affrontare al meglio il secondo grado di giudizio.
Per il legale di Davide Stival invece, l’avvocato Daniele Scrofani, il movente sarebbe da ricercare nei rapporti tra madre e figlio, come sostenuto dai consulenti di parte, che hanno parlato, in estrema sintesi, di “rapporti invertiti, in cui non è la madre a dare nutrimento psicologico al figlio ma il contrario. Era lui ad essere quello forte e a non riconoscere l’autorità materna”.
LA PRESENZA DI ANDREA STIVAL IN VIA GARIBALDI AL MOMENTO DEL DELITTO – Della presenza di Andrea Stival abbiamo già detto nella seconda parte della mattinata di quel 29 novembre. Ma dove era l’uomo al momento del delitto?
Veronica sostiene di averlo incontrato mentre tornava a casa – dove Lorys lo aspettava – e di averlo fatto salire in auto. Non solo: specifica di essersi fermata e dato che per pigrizia non voleva aprire la portiera destra, di essere scesa e averlo fatto accomodare nel sedile posteriore, esattamente in quel posto in cui da settimane tale Marcello Lo Curto (sedicente ingegnere e in passato sedicente avvocato e agente della Digos) andava ripetendo in giro di riuscire a identificare una sagoma scura, raffigurante un uomo.
Possibile che Veronica abbia ascoltato questi discorsi del non-ingegnere e abbia costruito una tesi sulla scorta di tutto questo? Oppure c’era davvero qualcuno in auto?
Una cosa è certa: che Andrea Stival quella mattina non viene ripreso da nessuna telecamera nei pressi della sua abitazione in quella fascia oraria. Non solo, non ce n’è traccia alcuna neppure in tutte le telecamere che riprendono le vie d’acceso alla strada in cui Veronica dice di aver incontrato il suocero.
Come se non bastasse, Veronica la mattina del delitto impiega meno secondi di tutte le altre volte per percorrere le poche decine di metri di distanza tra la telecamera immediatamente precedente e quella immediatamente successiva il PUNTO X, quello del presunto incontro con il suocero. In parole povere: se per andare da A a B di solito impieghi 25 secondi, come è possibile che nella mattina del delitto, quando – stando alle tue parole – avresti dovuto fermarti e far salire una persona nel sedile posteriore, impieghi appena 23 secondi? Non ci sarebbero – mette nero su bianco la polizia – i tempi tecnici per essersi fermata e aver fatto salire il suocero.
A questo va aaggiunta la testimonianza della compagna dell’uomo, che racconta e conferma in più occasioni agli inquirenti che lui quella mattina era in casa con lei. Perché mentire? Una donna tradita e conscia di un eventuale tradimento del suo compagno, per quale motivo dovrebbe reggergli il gioco? Tanto più che la coppia era “recente”, i due si frequentavano da appena tre mesi.
E il racconto di Stival e compagna, compreso l’orario in cui sarebbero usciti di casa viene confermato da una vicina che ricorda di averli visti in quella giornata così difficile da dimenticare.
LA SENTENZA – Questi alcuni dei dubbi di cui molto si è parlato in queste indagini. Una sentenza è stata pronunciata, ben più dura di quanti “analisti” si aspettassero. Non è da escludere la concessione in un secondo grado di giudizio di “attenuanti generiche” che ridurrebbero la pena a sedici anni di reclusione.
L’unica certezza è che anche in questo secondo grado accusa e difesa si daranno battaglia, con l’avvocato Villardita che difficilmente lascerà qualche strada intentata e non battuta.
Il punto di (ri)partenza saranno le motivazioni della sentenza, che potranno chiarire e precisare tutti i punti oscuri, pur ricordando che – per citare il pm Marco Rota – sarà sempre difficile ricostruire con precisione questo straziante delitto casalingo, perché “In quell’angolo di buio entra soltanto lei”. Lei, Veronica Panarello. Una madre assassina secondo il Gip, che avrebbe tolto la vita al figlio Lorys in un pomeriggio di due anni fa.