Lorys, il momento della riflessione

Per quasi due anni ho seguito per Quarto Grado il “caso Panarello”. Ieri una sentenza l’ha condannata a trent’anni di carcere, alla perdita della potestà genitoriale, al risarcimento delle parti civili.
Credo quindi sia il momento di un bilancio, di una riflessione.
Il primo pensiero va al bambino, di cui tutti noi abbiamo parlato, immaginandolo, ricostruendone pensieri e vita attraverso i racconti di familiari e amici. Attraverso le foto, i video.
Quel bambino ha visto – questo ci dice la sentenza, ora – sua madre mentre lo uccideva. L’ha guardata negli occhi, mentre con delle forbici appuntite cercava di liberare il suo collo da una fascetta di plastica troppo stretta che lei stessa gli aveva messo.
Sono convinto sia stata una “punizione eccessiva finita male” e non un gesto voluto, perché non riesco ad immaginare che una madre possa arrivare a tanto.

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Penso a Davide Stival, un ragazzo che ha perso tutto: il figlio in fondo ad un canale, la moglie travolta dal suo passato, da una mente oscura e dalle sue bugie.

L’ho intervistato all’inizio di questa vicenda. E ancora ricordo i suoi occhi. Gli stessi che gli ho visto sul viso oggi: ci ha pietrificato talmente tanto che nessuno – tra noi giornalisti – è riuscito a fargli anche solo una domanda. Ci sono momenti in cui ci si deve fermare davanti al dolore, oggi era uno di quei momenti.

Penso anche a lei, a Veronica: chi ha ascoltato le sue quattro di dichiarazioni davanti ai pm, la sera prima dell’arresto, in cui ripercorreva quel suo passato buio e sofferente in una famiglia dilaniata dall’odio reciproco, non può non avere pena per questa donna dall’aspetto di una bambina.
So che in molti non capiranno questa frase, ma a me Veronica Panarello fa pena, nonostante sia stata lei – dice ora la legge – a compiere il delitto. E credo anche che trent’anni in carcere, qualora dovessero essere confermati in appello, saranno trent’anni di inferno, di rimorso e di confronto con la propria coscienza. Non c’è soddisfazione nel vederla “marcire in galera”. Non è una vittoria di nessuno.

Non posso non rivolgere poi il mio pensiero ad Andrea Stival: per oltre un anno, ben prima delle accuse della nuora, sottoposto ad un fuoco incrociato di accuse e illazioni su un suo presunto coinvolgimento nel delitto. Persino su suoi presunti atteggiamenti “morbosi” verso il nipote. Parole pesanti in grado di “suggerire” un cambio di versione alla stessa Veronica, che in cella aveva accesso a tv e soprattutto a giornali di ogni taglio editoriale, peggiori compresi.
In troppi hanno creduto a queste menzogne su Andrea senza pensare che non si trattava del personaggio di un romanzo giallo, di cui parlare con distacco, ma di un essere umano in carne e ossa. Un uomo con pregi e difetti ma che non meritava di essere processato dall’opinione pubblica e dai giustizialisti di Facebook come fosse un assassino, perché non lo era. Deve essere chiaro, adesso: non lo è mai stato.
Sono tanti quelli che ora dovrebbero alzarsi e chiedergli scusa: alcuni perché con leggerezza hanno tenuto in mano una penna o un microfono in grado di ferire più di una pistola. Altri perché con la stessa leggerezza hanno fatto scivolare le dita sulla tastiera. Altri ancora perché, sempre con leggerezza, hanno augurato su Facebook persino la morte a lui e alla compagna.

Lo hanno fatto soffrire e hanno logorato ulteriormente un uomo già provato dalla tragedia che aveva rovinato la sua famiglia. So già che non arriveranno, queste scuse (sia chiaro: non faccio riferimento agli avvocati, che fanno solo – e bene – il loro mestiere), ma ce ne sarebbe bisogno.

Da parte mia ho sempre detto ad Andrea che il mio mestiere mi avrebbe portato a dare qualsiasi notizia io avessi trovato, a favore o contro di lui: ma sono i dati a dire incontrovertibilmente che nulla ha avuto a che fare quest’uomo con il delitto. Nulla.

Per mesi sono stato additato come “di parte” solamente perché mi ostinavo a riportare la verità: ma io non darò mai una notizia parziale, mai riporterò una tesi in televisione se non è basata su prove, su documenti. Io non faccio il detective ma studio e mi baso solo sui documenti certi che ho in mano, come si fa nella “squadra” di cui faccio parte.
E anche quando per primi noi di Quarto Grado abbiamo raccontato ai nostri telespettatori dei famosi “filmati di Vanity House”, lo abbiamo fatto riportando allo stesso tempo questa notizia e l’opinione dei diretti interessati, ovvero Andrea e la compagna.
E questo è stato possibile grazie ad un programma i cui autori mai, mai hanno fatto pressione per “appoggiare” una tesi in favore di un’altra. Mai hanno invitato a sposare tesi irrealistiche e non basate sulle carte e gli atti processuali.
Concludo con due pensieri: il primo per Orazio Fidone, altra persona su cui in molti hanno fantasticato e costruito castelli di illazioni, mettendo in difficoltà lui e la sua famiglia. Orazio non ha nulla a che fare con questa vicenda: anche in questo caso sono le carte a dirlo e anche in questo caso in troppi dovrebbero chiedergli scusa.
Infine, gli avvocati: Francesco Biazzo ha dovuto gestire una situazione difficilissima scoppiatagli tra le mani. Ed è stato spalla sincera per i suoi assistiti, fino all’uscita dal tunnel della calunnia.
Daniele Scrofani, legale dallo stile british, ha accompagnato per mano Davide in un percorso durissimo di sofferenza tendendo sempre a preservarlo come fosse un fratello . E sono sicuro che continuerà a farlo e ad accompagnarlo, magari anche in un riavvicinamento con il resto della sua famiglia.
A Franco Villardita non può non andare in questo momento l’onore delle armi. Si è battuto come un leone, ha cercato in tutti i modi di assecondare la più ingestibile delle assistite, standole accanto e leggendo nelle sue versioni un percorso lento e coerente. E non si è tirato indietro il giorno in cui Veronica ha per la prima volta cambiato versione e ammesso di non aver accompagnato il bambino a scuola.
Non posso dimenticarlo: in molti sarebbero scappati, lui ci ha messo la faccia, è venuto in diretta e ha affrontato il toro per le corna, stoico ed eroico. Nessuno potrà mai togliergli questo coraggio, la sua dedizione alla causa.
Concludo proprio usando una frase dell’avvocato Villardita: “speriamo che la sentenza dia Giustizia a chi chiede Giustizia e pace a chi ha bisogno pace”.
Tutti noi, che tanto abbiamo lavorato su questo “caso”, rimarremo con questa frase per la testa, ognuno con le proprie convinzioni e il proprio concetto di Giustizia. Speriamo solo che prima o poi arrivi davvero però Pace per Lorys Stival, otto anni interrotti di colpo. Anima innocente che non c’è più.

Simone Toscano

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