A Napoli il taxi dell’onestà

IL BOTTINO – “E tu che lavoro fai?” mi chiede il tassista che a mezzanotte sfreccia via dall’aeroporto di Napoli verso il mio hotel del Centro. “Il giornalista…”, dico io, sguardo al finestrino e il timore del solito pistolotto sulla casta. Sbaglio.

“Uaaa, davvero il giornalista? E allora scusa, te la posso fare una domanda? Ma perché di Napoli e dei tassisti si parla sempre male e una volta che c’è una buona notizia, non ne parla nessuno?”.

Sorrido. “Sentiamo questa notizia”. Ed ecco che Francesco Boccia – sì, come il deputato Pd – 34enne dai Quartieri Spagnoli si apre come un libro aperto a metà strada tra il romanzo di formazione e l’epopea verista: in ogni caso un libro che parla della sua vita, a partire dal motivo di orgoglio degli ultimi giorni, quella “buona notizia”.

“Qualcuno nel mio taxi ha lasciato una borsa con tre blocchetti di assegni” dice Francesco. Assegni vuoti, pronti per essere girati a qualche mariuolo che conosce le arti della truffa: “ma io non li ho neanche toccati eh”. Come pure per il pezzo forte del lotto lasciato, anche lui, sul sedile del taxi. “Un orologio di lusso, roba da tremila euro come questo qui” sorride mostrandomi foto scaricate da internet, prezziario mondiale consultabile con un clic.

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L’influencer positivo: contro il cancro con #tenaciaetenerezza

 

In alto c’è un “domani” in blu, in basso “abbraccio” in giallo. Spicca, di viola, un grande “perché”. E poi al centro, tutto di seguito come fosse un hashtag senza respiro, “tenaciaetenerezza” color carta da zucchero.

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Decine di parole, che formano – graficamente – una sorta di nuvola colorata, perfetta sintesi della vita di Simone Mori secondo l’algoritmo di uno dei giochini più diffusi di Facebook, “Le parole che io ho usato di più”, una sorta di summa dei nostri pensieri, delle speranze, delle opere e molte volte anche delle omissioni, cioè tutte quelle (di parole) che su Facebook spesso evitiamo di scrivere per non sembrare noiosi, meno interessanti o meno patinati. O forse, più semplicemente, veri. Perché la verità, la realtà, non sempre piace, sparata in faccia con i suoi spigoli che possono fare male.

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Lorys, il momento della riflessione

Per quasi due anni ho seguito per Quarto Grado il “caso Panarello”. Ieri una sentenza l’ha condannata a trent’anni di carcere, alla perdita della potestà genitoriale, al risarcimento delle parti civili.
Credo quindi sia il momento di un bilancio, di una riflessione.
Il primo pensiero va al bambino, di cui tutti noi abbiamo parlato, immaginandolo, ricostruendone pensieri e vita attraverso i racconti di familiari e amici. Attraverso le foto, i video.
Quel bambino ha visto – questo ci dice la sentenza, ora – sua madre mentre lo uccideva. L’ha guardata negli occhi, mentre con delle forbici appuntite cercava di liberare il suo collo da una fascetta di plastica troppo stretta che lei stessa gli aveva messo.
Sono convinto sia stata una “punizione eccessiva finita male” e non un gesto voluto, perché non riesco ad immaginare che una madre possa arrivare a tanto.

Loris: mamma esce da Questura, affranta e sorretta da marito Continua a leggere

Serena Mollicone: anniversario con speranza

Quindici anni esatti di indagini, di segreti, di sospetti. Quindici anni di speranze e di attesa per Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, ritrovata senza vita e con il volto coperto da un sacchetto di plastica il 3 giugno del 2001 in un bosco a pochi chilometri da Arce, il paesino vicino Cassino in cui viveva e da cui era scomparsa due giorni prima.

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È proprio a Cassino che bisogna andare con la mente, in questo anniversario simbolicamente carico di significati, perché è lì che la Procura sta continuando a lavorare, rimettendo di nuovo in discussione quella che era divenuta una certezza per molti, tranne che per la famiglia di Serena, dal padre Guglielmo allo zio Romeo, alla cugina Gaia: e cioè che non ci fosse nulla da fare, che non esistesse più nessuna pista da seguire.

E invece no. Non sappiamo quale destino seguiranno le nuove indagini, ma per la prima volta abbiamo assistito all’ingresso del Ris nella caserma di Arce, il luogo indicato fin dall’inizio dal padre di Serena come quello in cui “qualcosa” era di sicuro successo. Qualcosa di brutto, qualcosa di indicibile.

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Chi ha ucciso Silvana Pica?

Dopo quattro anni e una archiviazione, sono ripartite le indagini sulla scomparsa di Silvana Pica, la cinquantasettenne di Pescara di cui non si ha più traccia dal 17 gennaio 2012. Con un clamoroso cambio di passo: dal suo allontanamento volontario si passa, ora, ad ipotizzarne l’omicidio.

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Nel tardo pomeriggio di quel freddo martedì Silvana – un passato con problemi psichiatrici tenuti finalmente sotto controllo grazie ad una terapia rigorosa – si presenta a casa di Giovanna Rosica, la suocera, madre di Vincenzo Berghella, l’ex marito da cui è separata da anni.

Anni di dispute legali, di sofferenze e lettere d’amore mai inviate ma confidate alle amiche. E proprio due giorni dopo, il 19 gennaio, è fissata una  nuova udienza per la spartizione di alcuni beni cointestati con Berghella.

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Simone e la sua #forzaecoraggio

“Se la febbre non passa, mercoledì mi ricovereranno. Sbatterei la testa al muro ma cosa cambierebbe? E allora accettiamo il più possibile quello che la vita ci propone. Un abbraccio a tutti di vero cuore”.

Simone si chiama come me. Ha passato la trentina, ma non da troppo (credo), come me. Simone aveva tanti capelli ricci. Simone ora ne ha qualcuno in meno, ma ricresceranno. Simone sorride. Simone è forte come io non saprei esserlo mai. Perché Simone ha un linfoma, che io fortunatamente non ho, e lo affronta aprendosi al mondo, raccontandolo senza eroismi e senza pietismi. Anche da una stanza di ospedale, anche dalla chemioterapia.

Simone ha aggiunto una parola tra il suo nome e il suo cognome, su Facebook. Quella parola è quasi uno slogan, un hashtag, come quelli che si usano soprattutto su Twitter, come quelli che utilizza Matteo Renzi per comunicare la svolta buona. Simone ora è “Forzaecoraggio”.

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“Il linfoma si è riacceso.Inizierò una nuova tipologia di chemioterapia nei prossimi giorni. La strada diventa un po’ più difficile ma come sapete io non mollerò mai. Ci proverò sempre e comunque. Vi chiedo solo di avere pazienza se non rispondo subito a telefonate, sms, e Whatsapp. In ospedale è più complicato. Vi abbraccio forte ‪#‎Forzaecoraggio .

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Serena Mollicone, un delitto che chiede Giustizia da quattordici anni

Cinquemiladuecentodiciannove giorni senza colpevole. Poco più di quattordici anni da quel 3 giugno del 2001 in cui Serena Mollicone venne ritrovata senza vita in un bosco vicino ad Arce, il paese in provincia di Frosinone in cui viveva con la sorella Consuelo e con il papà Guglielmo.

Il suo assassino non ha ancora un volto, eppure le indagini sembrano essere purtroppo destinate a finire, dopo che la Procura di Cassino ha chiesto di archiviare l’inchiesta su questo giallo dalle tinte rosse come il sangue. Un mistero che non fa chiudere occhio a chi purtroppo non ne ha semplicemente sentito parlare in tv, ma ne ha vissuto sulla pelle i momenti più bui, le speranze ad ogni svolta annunciata e poi le delusioni, i dolori. Le sofferenze, incominciate d’improvviso in quegli inizi dell’estate del 2001 e non ancora sopite, graffianti come i dubbi di questa vicenda.

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Serena scompare venerdì primo giugno di quell’anno: ha un appuntamento con Michele, il fidanzato, alle due del pomeriggio. Ma non si presenta. Dopo 48 ore viene ritrovata senza vita: un’unica ferita alla tempia sinistra, un sacchetto attorno la testa. Il colpo – dirà l’autopsia – non è stato letale: Serena – morta per asfissia – poteva salvarsi.

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“Le più belle frasi di Osho”, quando la satira su Facebook incontra un santone indiano

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“Se po’ avè ‘n goccetto de sambuca?” dice in romanesco la scritta sopra la foto d’epoca che ritrae il “santone” indiano con una tazzina in mano. E “Chi non salta un Sai Baba è…” è invece il commento ad uno scatto in bianco e nero di lui in piedi, con le braccia alzate, davanti ad una folla adorante. Ancora: “No, ma falle due gocce”, mentre tiene in mano un ombrello.

 

Sono solo alcune delle decine, centinaia di immagini che stanno decretando in rete il successo della pagina Facebook Le più belle frasi di Osho, dissacrante satira che coinvolge Osho, al secolo Chandra Mohan Jain, discussa guida spirituale indiana (che ricorda in alcuni passaggi la figura di Sai Baba) che tra gli anni Settanta e Ottanta ha attirato prima nel suo Paese e poi negli Stati Uniti decine di migliaia di discepoli soprattutto occidentali innamorati della sua visione trascendente (e in buona parte discussa) della vita e del mondo.

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La vera storia della mimosa e dell’otto marzo

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Chissà se qualcuno le avrà portato oggi un mazzolino di mimose, sulla tomba. Chissà se qualcuno le avrà dedicato un pensiero. Perché è a lei, a Teresa Mattei, che si deve questa usanza, quella di regalare piccoli rami di fiori dal colore acceso, giallo, come il sole.

È l’inizio del 1945 e in Italia si combatte ancora. Teresa ha solo 24 anni ma di storie da raccontare ne ha già molte: a soli 17 anni è stata espulsa da tutte le scuole del Regno d’Italia perché ha contestato le lezioni “in difesa della Razza”, con cui il Regime provava a imporre culturalmente le leggi Razziali antiebraiche, sulla scorta dell’esempio nazista.

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Valentina Salamone, altri sei mesi di indagini

In un mestiere in cui – per forza di cose – le notizie che capita di dare sono spesso brutte e hanno a che fare con la sofferenza delle persone, oggi finalmente una “buona” nuova.

Ed è una notizia che racconta della speranza di una famiglia, una speranza che può continuare a bruciare come una solida fiammella, per altri sei mesi e – ne sono convinto – continuerà a farlo ancora per molto. Sei mesi, come quelli concessi di proroga alle indagini sull’omicidio di Valentina Salamone.

è sua la famiglia che può continuare a sperare, quella di questa ragazza di soli diciannove anni portata via da qualcuno che conosceva – chi sia stato sarà la Giustizia a dirlo, prima o poi – nell’estate di quattro anni fa. Qualcuno che le ha tolto la vita e ha simulato una impiccagione, per far credere che Valentina avesse deciso di andarsene di sua spontanea volontà, magari – come ha detto qualcuno – “perché le cose in famiglia andavano male”.

In questi anni i genitori, le sorelle e il fratello di Valentina (come anche le sue amiche), hanno dovuto sopportare ogni affronto e l’hanno fatto in silenzio, con discrezione. “Si è uccisa per colpa del padre, glielo devi dire” mi ha detto con la rabbia di un animale ferito, puntandomi un dito contro, uno di quegli “amici” che erano con lei l’ultima sera di vita di Valentina. Uno dei tanti ragazzi che – ne sono convinti gli inquirenti – sanno molto di più di quanto hanno raccontato.

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