Il Comune di Roma vuole sfrattare il Museo dei Videogiochi: #VIGAMUSNONSISFRATTA

È una vergogna. Finisce sotto sfratto – e dal Comune di Roma – Vigamus, il Museo dei Videogiochi (e molto altro) della Capitale, divenuto nell’arco di pochi anni punto di riferimento delle (sotto)culture giovanili romane, che in quei locali hanno trovato luogo di incontro, di sfogo, di espressione. Una realtà vivace da 80mila visitatori l’anno, tra i pochi musei del genere al mondo, gemellata con l’omonimo museo di Berlino. Tutto destinato a finire, forse. A chiudere, ad essere cancellato con un colpo di spugna. E questa cosa non può passare nel silenzio: è una questione non di principio ma di merito, di diritto di espressione.

Negli anni Ottanta la battaglia contro i videogiochi si combatteva sui giornali, dove i soloni dal dito puntato si ergevano a moralizzatori dei costumi, scorgendo proprio in quel mondo virtuale (il primo – o quasi – noto al grande pubblico) il declino dei costumi e un rischio per il benessere psicofisico dei propri figli. Il tempo ha dimostrato che avevano torto, come chi prima di loro (probabilmente gli stessi) aveva tuonato contro i cartoni animati, “violenti e ispiratori d’odio”.

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“Le più belle frasi di Osho”, quando la satira su Facebook incontra un santone indiano

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“Se po’ avè ‘n goccetto de sambuca?” dice in romanesco la scritta sopra la foto d’epoca che ritrae il “santone” indiano con una tazzina in mano. E “Chi non salta un Sai Baba è…” è invece il commento ad uno scatto in bianco e nero di lui in piedi, con le braccia alzate, davanti ad una folla adorante. Ancora: “No, ma falle due gocce”, mentre tiene in mano un ombrello.

 

Sono solo alcune delle decine, centinaia di immagini che stanno decretando in rete il successo della pagina Facebook Le più belle frasi di Osho, dissacrante satira che coinvolge Osho, al secolo Chandra Mohan Jain, discussa guida spirituale indiana (che ricorda in alcuni passaggi la figura di Sai Baba) che tra gli anni Settanta e Ottanta ha attirato prima nel suo Paese e poi negli Stati Uniti decine di migliaia di discepoli soprattutto occidentali innamorati della sua visione trascendente (e in buona parte discussa) della vita e del mondo.

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I sorrisi di Gina, che non c’è più

Appena pochi mesi fa avevo scritto un post su di Lei, per provare a raccogliere dei fondi per darle una mano, perché le sue condizioni di salute stavano precipitando. E in tanti si erano mossi, in quell’occasione. A quei tanti, ora, do una notizia triste, di quelle difficili da dare, le peggiori: Rosa non c’è più, non ce l’ha fatta. Si è spenta poco prima di Pasqua, in clinica, in quell’Abruzzo che amava e in cui aveva vissuto il dolore del terremoto. Non è arrivata al sesto anniversario di quel sisma che le aveva portato via tutto e che l’aveva… Continua a leggere


La vera storia della mimosa e dell’otto marzo

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Chissà se qualcuno le avrà portato oggi un mazzolino di mimose, sulla tomba. Chissà se qualcuno le avrà dedicato un pensiero. Perché è a lei, a Teresa Mattei, che si deve questa usanza, quella di regalare piccoli rami di fiori dal colore acceso, giallo, come il sole.

È l’inizio del 1945 e in Italia si combatte ancora. Teresa ha solo 24 anni ma di storie da raccontare ne ha già molte: a soli 17 anni è stata espulsa da tutte le scuole del Regno d’Italia perché ha contestato le lezioni “in difesa della Razza”, con cui il Regime provava a imporre culturalmente le leggi Razziali antiebraiche, sulla scorta dell’esempio nazista.

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