Simone e la sua #forzaecoraggio

“Se la febbre non passa, mercoledì mi ricovereranno. Sbatterei la testa al muro ma cosa cambierebbe? E allora accettiamo il più possibile quello che la vita ci propone. Un abbraccio a tutti di vero cuore”.

Simone si chiama come me. Ha passato la trentina, ma non da troppo (credo), come me. Simone aveva tanti capelli ricci. Simone ora ne ha qualcuno in meno, ma ricresceranno. Simone sorride. Simone è forte come io non saprei esserlo mai. Perché Simone ha un linfoma, che io fortunatamente non ho, e lo affronta aprendosi al mondo, raccontandolo senza eroismi e senza pietismi. Anche da una stanza di ospedale, anche dalla chemioterapia.

Simone ha aggiunto una parola tra il suo nome e il suo cognome, su Facebook. Quella parola è quasi uno slogan, un hashtag, come quelli che si usano soprattutto su Twitter, come quelli che utilizza Matteo Renzi per comunicare la svolta buona. Simone ora è “Forzaecoraggio”.

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“Il linfoma si è riacceso.Inizierò una nuova tipologia di chemioterapia nei prossimi giorni. La strada diventa un po’ più difficile ma come sapete io non mollerò mai. Ci proverò sempre e comunque. Vi chiedo solo di avere pazienza se non rispondo subito a telefonate, sms, e Whatsapp. In ospedale è più complicato. Vi abbraccio forte ‪#‎Forzaecoraggio .

Finora l’esortazione “Forza e coraggio” mi aveva sempre fatto sorridere: me la dicevano prima di una qualche sfida sportiva, da piccolo. Me l’hanno ripetuta nei momenti difficili, da adolescente, fossero un esame da affrontare o una delusione d’amore da superare.

Poi, negli anni, quel modo di dire mi aveva dato un po’fastidio persino, perché la associavo a quelle cose da esaltati, quei cori, quelle frasi fatte stile “comunicazione diretta”, fomentanti come un qualsiasi “crederci sempre arrendersi mai”. Ecco, retorica del sabato sera, forse, ma poca sostanza.

Mai, insomma, ne avevo apprezzato a pieno il significato. Ora sì. Perché Simone di forza e di coraggio ne ha.

Di persona non l’ho conosciuto mai. L’ho fatto in maniera virtuale, quando mi ha contattato per una intervista, per parlare del mio lavoro come giornalista e poi del mio libro, un romanzo che, manco a farlo apposta, parla di Sogni e futuro.

Lo ha acquistato appena uscito, abbiamo parlato via telefono e ci siamo dati appuntamento – sempre via telefono – per parlare meglio e concludere l’intervista. Ecco, quella chiacchierata non c’è stata mai, perché un giorno Simone mi scrive che “non mi sento bene, devo capire questa febbre che ho da giorni da dove viene, ci aggiorniamo”.

Ad aggiornarmi ci ha pensato Facebook. È così che ho scoperto che Simone aveva un linfoma.

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Un linfoma? A dirla tutta io neanche so bene cosa sia un linfoma, per fortuna. So di quel mio amico alle medie che aveva avuto un problema simile. Che era sparito per un po’. E che poi era tornato, dopo mesi di silenzio, guarito. Cambiato nell’animo, prima silenzioso e dopo invece votato quasi ad un “non voglio perdere neppure un attimo di questa vita, faccio follie”.

Ecco, Simone per telefono mi aveva colpito soprattutto per la sua energia, per la sua risata e le battute a raffica. “Ma quanto ride questo, ma che si ride”, avevo pensato, pur apprezzando la sua propensione.

Non so se Simone rida ancora di pancia come faceva prima, perché non ci ho più parlato. Gli ho scritto. E lo leggo. Lo leggo e vorrei che in tanti potessero leggerlo come faccio io perché lui mi sembra un piccolo “eroe del quotidiano”. Anche per questo motivo nasce questo articolo.

“Sì vabbè, eroe. Le solite parole usate a sproposito solo perché uno è malato, come in quei casi di omicidio in cui i vicini parlano sempre di brave persone che salutavano”, potrà pensare qualche lettore.

Sbagliate. Non è così. Simone è un eroe perché sono sicuro che la notte in ospedale – dove è tornato, ora che il focolaio si è riacceso – se la stia facendo sotto come farei anche io, ma lui non lo dice come lo direi io. Lui posta su Facebook solo foto in cui sorride e non lacrime, occhi lucidi o sguardi pensierosi. Sorrisi. Ancora, come prima. Lui scrive solo messaggi che terminano con #forzaecoraggio.

Lui si scusa, in punta di piedi, se potrà rispondere poco a quanti gli scrivono, perché a volte le forze sono poche.

Dalla sua stanza nel Policlinico di Tor Vergata ci informa che vede “Guadagnolo, il piccolo paese dove ho migliaia di ricordi di ogni tipo”. Ricordi, speranze, sorrisi.

Scherza sulla sua situazione, sulla sua presenza in ospedale e sulle forze che a volte gli mancano: Con fatica e a volte trascinandomi sono riuscito a fare 2 km tra i reparti del mio piano. Arriverò a fare jogging prima o poi”.

Simone lotta, si difende con tutto se stesso, usando la flebo come un bastone con cui combattere il Male. Simone tiene duro. Simone è quello che vorremmo fosse la malattia: non un corridoio che puzza di ospedale, ma solo speranze e arrivederci, senza addii.

Simone è un arrivederci vivente che ti saluta di post in post, su Facebook. Anche se quello che ci mostra non è la vera vita lì dentro, anche se è lui che fa da scudo e restituisce all’esterno solo il suo slogan, metabolizzando la sofferenza. Una sintesi clorofilliana del dolore, che prende sofferenza e restituisce agli altri aria fresca.

Simone è un esempio che va oltre la retorica, è la forza e il coraggio vera, non quella da urlare in uno stadio, ma quella che ti fa riflettere quando sei a casa sul letto prima di dormire e pensi alla vita.

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Simone alla vita ci tiene. Simone ha scritto questa frase, qualche giorno fa:

Quanta fatica, quanta paura , ma poi prevale sempre la voglia di lottare perché la vita è preziosa. Preziosa più di ogni altra cosa perché quando si ha la vita si ha anche la forza di generare amore. 
Grazie a tutti per la vostra vicinanza. Terminerà questo
buio e allora sarà solo luce!

Arriverà il momento in cui terminerà quel buio. Per ora possiamo solo ringraziare Simone per la sua #forzaecoraggio. Senza retorica. Con un sorriso.

P.s. Simone mi ha autorizzato a raccontare la sua storia, ad utilizzare le sue foto e a mostrare la pagina Facebook.

Simone Toscano 

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