A Napoli il taxi dell’onestà

IL BOTTINO – “E tu che lavoro fai?” mi chiede il tassista che a mezzanotte sfreccia via dall’aeroporto di Napoli verso il mio hotel del Centro. “Il giornalista…”, dico io, sguardo al finestrino e il timore del solito pistolotto sulla casta. Sbaglio.

“Uaaa, davvero il giornalista? E allora scusa, te la posso fare una domanda? Ma perché di Napoli e dei tassisti si parla sempre male e una volta che c’è una buona notizia, non ne parla nessuno?”.

Sorrido. “Sentiamo questa notizia”. Ed ecco che Francesco Boccia – sì, come il deputato Pd – 34enne dai Quartieri Spagnoli si apre come un libro aperto a metà strada tra il romanzo di formazione e l’epopea verista: in ogni caso un libro che parla della sua vita, a partire dal motivo di orgoglio degli ultimi giorni, quella “buona notizia”.

“Qualcuno nel mio taxi ha lasciato una borsa con tre blocchetti di assegni” dice Francesco. Assegni vuoti, pronti per essere girati a qualche mariuolo che conosce le arti della truffa: “ma io non li ho neanche toccati eh”. Come pure per il pezzo forte del lotto lasciato, anche lui, sul sedile del taxi. “Un orologio di lusso, roba da tremila euro come questo qui” sorride mostrandomi foto scaricate da internet, prezziario mondiale consultabile con un clic.

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Serena Mollicone: anniversario con speranza

Quindici anni esatti di indagini, di segreti, di sospetti. Quindici anni di speranze e di attesa per Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, ritrovata senza vita e con il volto coperto da un sacchetto di plastica il 3 giugno del 2001 in un bosco a pochi chilometri da Arce, il paesino vicino Cassino in cui viveva e da cui era scomparsa due giorni prima.

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È proprio a Cassino che bisogna andare con la mente, in questo anniversario simbolicamente carico di significati, perché è lì che la Procura sta continuando a lavorare, rimettendo di nuovo in discussione quella che era divenuta una certezza per molti, tranne che per la famiglia di Serena, dal padre Guglielmo allo zio Romeo, alla cugina Gaia: e cioè che non ci fosse nulla da fare, che non esistesse più nessuna pista da seguire.

E invece no. Non sappiamo quale destino seguiranno le nuove indagini, ma per la prima volta abbiamo assistito all’ingresso del Ris nella caserma di Arce, il luogo indicato fin dall’inizio dal padre di Serena come quello in cui “qualcosa” era di sicuro successo. Qualcosa di brutto, qualcosa di indicibile.

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Simone e la sua #forzaecoraggio

“Se la febbre non passa, mercoledì mi ricovereranno. Sbatterei la testa al muro ma cosa cambierebbe? E allora accettiamo il più possibile quello che la vita ci propone. Un abbraccio a tutti di vero cuore”.

Simone si chiama come me. Ha passato la trentina, ma non da troppo (credo), come me. Simone aveva tanti capelli ricci. Simone ora ne ha qualcuno in meno, ma ricresceranno. Simone sorride. Simone è forte come io non saprei esserlo mai. Perché Simone ha un linfoma, che io fortunatamente non ho, e lo affronta aprendosi al mondo, raccontandolo senza eroismi e senza pietismi. Anche da una stanza di ospedale, anche dalla chemioterapia.

Simone ha aggiunto una parola tra il suo nome e il suo cognome, su Facebook. Quella parola è quasi uno slogan, un hashtag, come quelli che si usano soprattutto su Twitter, come quelli che utilizza Matteo Renzi per comunicare la svolta buona. Simone ora è “Forzaecoraggio”.

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“Il linfoma si è riacceso.Inizierò una nuova tipologia di chemioterapia nei prossimi giorni. La strada diventa un po’ più difficile ma come sapete io non mollerò mai. Ci proverò sempre e comunque. Vi chiedo solo di avere pazienza se non rispondo subito a telefonate, sms, e Whatsapp. In ospedale è più complicato. Vi abbraccio forte ‪#‎Forzaecoraggio .

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Serena Mollicone, un delitto che chiede Giustizia da quattordici anni

Cinquemiladuecentodiciannove giorni senza colpevole. Poco più di quattordici anni da quel 3 giugno del 2001 in cui Serena Mollicone venne ritrovata senza vita in un bosco vicino ad Arce, il paese in provincia di Frosinone in cui viveva con la sorella Consuelo e con il papà Guglielmo.

Il suo assassino non ha ancora un volto, eppure le indagini sembrano essere purtroppo destinate a finire, dopo che la Procura di Cassino ha chiesto di archiviare l’inchiesta su questo giallo dalle tinte rosse come il sangue. Un mistero che non fa chiudere occhio a chi purtroppo non ne ha semplicemente sentito parlare in tv, ma ne ha vissuto sulla pelle i momenti più bui, le speranze ad ogni svolta annunciata e poi le delusioni, i dolori. Le sofferenze, incominciate d’improvviso in quegli inizi dell’estate del 2001 e non ancora sopite, graffianti come i dubbi di questa vicenda.

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Serena scompare venerdì primo giugno di quell’anno: ha un appuntamento con Michele, il fidanzato, alle due del pomeriggio. Ma non si presenta. Dopo 48 ore viene ritrovata senza vita: un’unica ferita alla tempia sinistra, un sacchetto attorno la testa. Il colpo – dirà l’autopsia – non è stato letale: Serena – morta per asfissia – poteva salvarsi.

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