Serena Mollicone: anniversario con speranza

Quindici anni esatti di indagini, di segreti, di sospetti. Quindici anni di speranze e di attesa per Guglielmo Mollicone, il padre di Serena, ritrovata senza vita e con il volto coperto da un sacchetto di plastica il 3 giugno del 2001 in un bosco a pochi chilometri da Arce, il paesino vicino Cassino in cui viveva e da cui era scomparsa due giorni prima.

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È proprio a Cassino che bisogna andare con la mente, in questo anniversario simbolicamente carico di significati, perché è lì che la Procura sta continuando a lavorare, rimettendo di nuovo in discussione quella che era divenuta una certezza per molti, tranne che per la famiglia di Serena, dal padre Guglielmo allo zio Romeo, alla cugina Gaia: e cioè che non ci fosse nulla da fare, che non esistesse più nessuna pista da seguire.

E invece no. Non sappiamo quale destino seguiranno le nuove indagini, ma per la prima volta abbiamo assistito all’ingresso del Ris nella caserma di Arce, il luogo indicato fin dall’inizio dal padre di Serena come quello in cui “qualcosa” era di sicuro successo. Qualcosa di brutto, qualcosa di indicibile.

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Simone e la sua #forzaecoraggio

“Se la febbre non passa, mercoledì mi ricovereranno. Sbatterei la testa al muro ma cosa cambierebbe? E allora accettiamo il più possibile quello che la vita ci propone. Un abbraccio a tutti di vero cuore”.

Simone si chiama come me. Ha passato la trentina, ma non da troppo (credo), come me. Simone aveva tanti capelli ricci. Simone ora ne ha qualcuno in meno, ma ricresceranno. Simone sorride. Simone è forte come io non saprei esserlo mai. Perché Simone ha un linfoma, che io fortunatamente non ho, e lo affronta aprendosi al mondo, raccontandolo senza eroismi e senza pietismi. Anche da una stanza di ospedale, anche dalla chemioterapia.

Simone ha aggiunto una parola tra il suo nome e il suo cognome, su Facebook. Quella parola è quasi uno slogan, un hashtag, come quelli che si usano soprattutto su Twitter, come quelli che utilizza Matteo Renzi per comunicare la svolta buona. Simone ora è “Forzaecoraggio”.

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“Il linfoma si è riacceso.Inizierò una nuova tipologia di chemioterapia nei prossimi giorni. La strada diventa un po’ più difficile ma come sapete io non mollerò mai. Ci proverò sempre e comunque. Vi chiedo solo di avere pazienza se non rispondo subito a telefonate, sms, e Whatsapp. In ospedale è più complicato. Vi abbraccio forte ‪#‎Forzaecoraggio .

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Buon compleanno Quarto Grado

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Ci siamo. Cinque anni sono passati dalla prima puntata di Quarto Grado. Era il 7 marzo del 2010 e pareva impossibile, allora, provare a fare informazione in prima serata con un programma interamente dedicato alla Cronaca, di quella con la maiuscola: i casi “duri”, la cronaca giudiziaria, i gialli irrisolti. In molti ci avevano provato, esperimenti durati spesso poco più di un battito di ciglia. Ora toccava a noi, una squadra mista, composta di giovani cronisti ed esperti inviati. Pochi forse, nel numero, ma con una grande carica, tanto entusiasmo.

Era gennaio quando mi dissero di quel nuovo programma e mi chiesero se volevo farne parte. Volai a Milano per conoscere Siria Magri, una vita da conduttrice e caporedattrice a Studio Aperto. Una che la cronaca e la passione per questo lavoro ce le ha dentro, amori che pulsano forti, fin quasi a poterne sentire il battito.

A reggere le fila della redazione trovai Rosa Teruzzi, con cui avevo già lavorato a Verissimo. Una penna fina, una che di misteri se ne intende, a furia di scrivere romanzi gialli che parlano – chissà chi sarà poi – proprio di una giornalista che ha iniziato giovanissima e che ha un fiuto della notizia così spiccato da essere chiamata “Lessie”: “vai, e porta l’osso a casa” le dicono i colleghi.

La prima puntata la ricordo ancora. Il viaggio alla scoperta della storia di Matilda, una piccola vita persa senza che ad oggi – a dieci anni di distanza – ci sia un colpevole. E poi, uno dopo l’altro, i vari casi che avevano colpito il Paese: Novi Ligure, Cogne, Garlasco.

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Valentina Salamone, altri sei mesi di indagini

In un mestiere in cui – per forza di cose – le notizie che capita di dare sono spesso brutte e hanno a che fare con la sofferenza delle persone, oggi finalmente una “buona” nuova.

Ed è una notizia che racconta della speranza di una famiglia, una speranza che può continuare a bruciare come una solida fiammella, per altri sei mesi e – ne sono convinto – continuerà a farlo ancora per molto. Sei mesi, come quelli concessi di proroga alle indagini sull’omicidio di Valentina Salamone.

è sua la famiglia che può continuare a sperare, quella di questa ragazza di soli diciannove anni portata via da qualcuno che conosceva – chi sia stato sarà la Giustizia a dirlo, prima o poi – nell’estate di quattro anni fa. Qualcuno che le ha tolto la vita e ha simulato una impiccagione, per far credere che Valentina avesse deciso di andarsene di sua spontanea volontà, magari – come ha detto qualcuno – “perché le cose in famiglia andavano male”.

In questi anni i genitori, le sorelle e il fratello di Valentina (come anche le sue amiche), hanno dovuto sopportare ogni affronto e l’hanno fatto in silenzio, con discrezione. “Si è uccisa per colpa del padre, glielo devi dire” mi ha detto con la rabbia di un animale ferito, puntandomi un dito contro, uno di quegli “amici” che erano con lei l’ultima sera di vita di Valentina. Uno dei tanti ragazzi che – ne sono convinti gli inquirenti – sanno molto di più di quanto hanno raccontato.

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Perché la vita continua, è bellissima “e non mi posso lamentare”

Il primo post che ho pubblicato su questo blog raccontava la storia di Patrizia, sopravvissuta ad un tumore che l’ha costretta anche a perdere una bimba, al sesto mese di gravidanza. Dopo quel post ho ricevuto molti commenti, che non mi aspettavo. Non so perché ma qualcuno mi ha scritto per raccontarmi la sua storia. Due persone in particolar modo mi hanno colpito. Due ragazze che non ho mai conosciuto nella vita reale. Solo virtualmente, quello sì. Ne leggo i post, ci confrontiamo su argomenti di lavoro (siamo più o meno colleghi) e non, sulla trasmissione per cui lavoro.

Ecco, queste due ragazze mi hanno raccontato della loro malattia. Non lo avevano mai fatto, in mesi di chiacchierate virtuali e in decine di post commentati, dall’una e dall’altra parte. Sembravano due ragazze senza problemi: una famiglia serena, un lavoro altrettanto sereno e nessun tipo di “guaio”, tantomeno nell’ambito della salute.

Poi, un giorno, scopri di colpo, con un loro messaggio, la loro storia. Vera, che nulla ha a che vedere con la virtualità. Storie che ti fanno ripetere ancora una volta, “ma io ce la farei? Riuscirei a fare altrettanto?”. E capisci, di nuovo, l’importanza della vita, dell’amore, della forza di volontà. Li riporto integralmente, i loro messaggi, senza toccarli. Partono da due realtà e approcci lontanissimi tra loro: da una parte una malattia affrontata in maniera “condivisa” con familiari e amici. Dall’altra la volontà di farcela da soli, senza dire, senza parlare, con nessuno. Se non con gli occhi. Eppure il punto di approdo, il finale, è simile. E anche il retrogusto che lasciano in bocca a chi, comodo in poltrona, le legge come fossero pagine di un libro. Un libro basato su due storie vere. A voi la riflessione.

Ecco il primo messaggio:

“Quello che hai scritto mi tocca particolarmente. Da sei anni, ormai, anche io lotto contro il cancro. Un linfoma di Hodgkin, che mi ha tolto tantissime cose, ma mai la voglia di vivere e di sperare. Sono ormai alla settima recidiva in sei anni. Ho già affrontato oltre 30 cicli di chemio, due trapianti di midollo, la radioterapia, due anni fa l’asportazione della milza.

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